Salvatore Erittu
Ventotto anni fa, in un difficile quartiere della Porto Torres degli anni ottanta, nasceva un campione. Oggi tutta l’Italia ne è testimone.
È lui: “il gigante dal cuore d’oro”, “l’uomo della notte”, in qualunque modo si voglia definirlo. Salvatore Erittu rimane il primo pugile sardo nella storia della boxe ad essersi guadagnato, il 22 del 2009 a Rezzato, il titolo di campione nazionale di massimi-leggeri.
La sua storia è fatta di due diverse strade che si incrociano, e poi si separano definitivamente, e lo vedono protagonista in due mondi totalmente opposti: Salvatore conosce nei suoi primi anni di vita la realtà della povertà, la precarietà del vivere quotidiano, la paura che un domani non possa concretizzarsi o che, ancor peggio, possa rimanere similare al presente. Vive perciò una vita di sacrifici, comincia a lavorare all’età di soli tredici anni, lasciando da parte lo studio ed assuefacendosi ad una realtà che non è alle sue dimensioni.
Ma la forza di volontà, la voglia di non arrendersi, la saggezza di “potercela fare”, l’amore per la vita, la sicurezza di avere attorno a sé l’affetto della famiglia e degli amici, vedono quello stesso ragazzo “scapestrato” diventare un uomo, un padre, un’atleta, un sognatore.
Oggi Salvatore vive la vita creando la sua realtà gradino dopo gradino, modellandola con le sue forze, lasciando poco spazio al destino e molto di più alla volontà, senza mai dimenticare però che le radici sono sempre il punto di partenza.
Ecco come l’uomo dei due mondi si racconta per noi, rispondendo alle nostre domande:
ControMano: Salvatore Erittu dopo aver dichiarato di aver vissuto “una vita al contrario”, nonché da “birichino”, appare oggi come il classico bravo ragazzo, educato e cortese. Ma allora qual è il vero Salvatore e qual è invece la maschera?
Salvatore Erittu: “Non ho maschere. Ciò che sto vivendo è ciò che realmente sono. È vero, sono stato un ragazzo molto istintivo, facevo una vita veloce, frenetica, vivevo il mondo della notte lavorando nei locali, ma poi in concomitanza con la nascita di mia figlia Erica, con l’inizio di una convivenza e con l’avvicinamento al pugilato, ho iniziato anche una nuova avventura con me stesso, una nuova vita. Ero un ragazzo che diventava uomo, ed ora mi ritengo un uomo, so di essere umile, estroverso, socievole, ma sopratutto leale.”
CM: Ti ritieni più uomo, più padre o più pugile?
SE: “Principalmente un uomo ed un padre, un buon padre e poi un pugile, ma il pugilato viene dopo tutto il resto.”
CM: Hai dichiarato di essere diventato un pugile grazie all’apprezzabile consiglio di un amico che ti ha fatto conoscere la boxe, ma cosa ti spinge a continuare ad esserlo? Cosa ti da la forza di credere in te stesso?
SE: “Le mie radici: l’aver vissuto e conosciuto la povertà. Il fatto di volere e desiderare qualcosa e non potertelo permettere ti lascia un amaro ricordo che non voglio abbia né mia figlia né la mia famiglia. Voglio dargli il meglio e posso farlo solo continuando in ciò che so fare.”
CM: Il 22 maggio a Rezzato, vicino Brescia, hai acquisito ufficialmente l’appellativo di “campione”; si nasce o si diventa campioni?
SE:“Sicuramente ci si diventa, poi c’è tutto un discorso sul talento da fare. La mia filosofia è che si può essere grandi talenti in qualunque sport, ma se al proprio fianco non si hanno l’affetto della famiglia e del mondo degli amici, e se non si conduce una vita corretta e sana, non si può diventare campioni!”.
CM: In un intervista precedente al fatidico incontro hai dichiarato che la tua vittoria sarebbe stata un punto di partenza ed a Rezzato, sicuro di farcela e sostenuto da un numeroso tifo che incalzava con :”Noi vogliamo questa vittoria!”, hai guadagnato ben 10 round su 10; non è stato tutto troppo semplice? Avresti forse voluto un incontro più avvincente?
SE:“Assolutamente no! Per me l’incontro è stato avvincente. La semplicità o la difficoltà non stanno nell’incontro in sé ma in tutta la lunga preparazione e la lunga sofferenza precedente. Agli occhi di chi non capisce la boxe forse può sembrare tutto facile, ma non bisogna dimenticare che ci sono le tensioni emotive, perciò posso affermare che ho vinto sotto il profilo tecnico e tattico, ma ho vinto sopratutto sotto il profilo della motivazione. Ero motivato allora, lo sono ancora di più adesso!”.
CM: A chi hai dedicato la tua vittoria?
SE:“Non c’è stata una dedica singola sarei stato troppo egoista! Ho avuto al mio fianco tutta una serie di persone che mi hanno permesso di arrivare alla vittoria partendo dagli allenatori Maurizio Zennoni, Patrizio Oliva, Gavino Mura e Gianni Mura, passando per i miei tifosi che erano più numerosi delle mie aspettative, alla mia famiglia che ha atteso pazientemente che io facessi il mio percorso, per poi arrivare a tutti coloro che hanno creduto in me!”.
CM: Sei il primo pugile sardo nella storia della boxe a vincere questo titolo, al tuo rientro la città ti ha accolto da vero campione festeggiandoti in piazza con una grande festa, in tutto questo qual’è stata l’emozione più grande?
SE:“E’ stata più grande l’emozione di tornare nella mia città che quella di sentire l’ufficialità del verdetto della vittoria. A casa sono riuscito a metabolizzare ciò che mi era successo, ciò che ero diventato. Ma la cosa migliore è stata quella di aver regalato un sorriso a chi veramente ne aveva bisogno. Oggi Porto Torres vive una realtà terribile, il tasso di disoccupazione sta toccando dei picchi altissimi e purtroppo non sembrano arrivare miglioramenti e quando, per strada, ho incontrato un amico che mi ha detto “per un’ora mi hai fatto dimenticare tutto il resto della giornata in cui non ho fatto altro che pensare che sono disoccupato!” beh , per degli istanti, mi sono sentito un’eroe!”.
CM: Sei riuscito a dare concretezza ad uno dei tuoi sogni, ma a quali altri sogni hai dovuto rinunciare e a quale invece non rinunceresti mai?
SE:“Il mio vero sogno va oltre il livello sportivo, oltre il livello umano, perché la cosa che più desidero è di riuscire a non far mancare niente alla mia famiglia sia sotto il profilo economico che sotto quello affettivo. Poi sognare non è proibito ed io ho già realizzato molti dei miei desideri: mi sono avvicinato alla boxe a ventuno anni e adesso sono campione d’Italia, ho fatto una lunga gavetta nella nazionale, che indubbiamente mi ha arricchito di tecnica, ma anche di emozioni. Purtroppo non sono diventato un calciatore per quanto io amassi il calcio, ma so per certo che il sogno al quale non potrei mai rinunciare è mia figlia!”.
CM: Sul ring hai guadagnato molte vittorie, ma nella vita qual’è stata la tua vittoria più grande e quale la più grande sconfitta?
SE:“Nella vita la più grande vittoria è stata quella di essere riuscito a passare da un estremo all’altro: sono stato un tipo di persona con una filosofia di vita che oggi, da buon padre, non condivido più. Mentre la mia più grande sconfitta è non aver potuto studiare. Ci sono tante cose che mi affascinano e dentro di me sento che mi manca qualcosa!”
CM: Hai una figlia di pochi anni. Se un giorno ti dicesse di voler diventare un pugile?
SE:“Glielo sconsiglierei, preferirei facesse altri sport. Credo che il pugilato nelle donne tolga una buona parte di femminilità, sopratutto se si considera che possono rimanere delle cicatrici sul viso, che ci si può rovinare il naso. Se poi mi chiedesse di insegnarglielo per difesa personale non potrei certo dirle di no!”
CM: Mino Maccari, pittore, giornalista e scrittore del novecento, nelle Punture asseriva che “Lo sport è l’unica cosa intelligente che possono fare gli imbecilli!” Se avessi potuto conoscerlo cosa gli avresti risposto?
SE:“Per quanto potesse essere intelligente quest’uomo io non sono esattamente d’accordo. Lo sport è competizione e la vita stessa è competizione. In un certo senso ognuno di noi, intelligente o meno, pratica sport anche senza definirlo così. La monotonia è ciò che ammazza qualunque cosa perciò bisogna trovare l’alternativa per non arrendersi ad essa. Io amo vincere in tutto ciò che faccio, adoro le vittorie e non parlo solo del pugilato, anzi so perfettamente che proprio in questo ambito prima o poi capiterà di perdere, ma questo di certo non mi fa smettere di combattere e di competere anche con me stesso.
CM: Come giustifichi il tuo sport di fronte a chi sostiene che sia una mera manifestazione di violenza?
SE:“Il pugilato non è violenza, anzi, è l’esatto opposto. Io stesso prima di avvicinarmi alla boxe ero una persona molto violenta, mi capitava spesso di fare a botte per strada e non solo; adesso sono molto equilibrato, il rigore della boxe mi ha dato molta sicurezza, serve a liberare la mente. Funziona come antistress, oltre al fatto stesso che ti fa stare in forma, e proprio per questo credo che sia uno sport aperto a tutti. L’allenamento è basato sulla coordinazione fisica simile o pari a quella che ti da il nuoto, l’unica differenza è che nel nuoto non c’è un contatto fisico con un altro individuo”.
CM: In questo momento della tua vita a quale persona vorresti stringere la mano?
SE:“La persona più recente che mi viene in mente è un uomo di cui non so neanche il nome, ma ho visto in un video, pubblicato su facebook, di ciò che è stato in grado di fare solo per donare un sorriso al figlio diversamente abile. Ha sfidato la sua forza fisica, portato dalla volontà dei sentimenti, facendo una lunga gara composta di tanti esercizi portandosi sempre dietro suo figlio e sorreggendone il corpo senza mai lasciarlo. Non si è fermato fino a quando non ha raggiunto il traguardo e la cosa che più mi ha colpito è stato vedere che sul suo viso, all’arrivo, non c’erano i segni della stanchezza, ma solo la gioia, l’immensa gioia di aver fatto felice suo figlio.
E poi mi piacerebbe stringere la mano a tutte quelle persone che riescono a trovare una fede vera e propria. Io sono credente perché sono convinto che ci sia un Dio, ma tutto ciò che accade nel mondo, tutto quello che trasmette la tv ogni giorno, mi crea così tanta confusione da non farmi identificare nel nome di questo Dio”.
CM: A conti fatti, tornando indietro, cambieresti qualcosa della tuo vissuto?
SE:“Forse tornando indietro inizierei prima a fare pugilato, magari farei un’olimpiade, ma di una cosa sono certo: tornando indietro studierei. Per tutto il resto non cambierei niente!”
Testa sempre alta, ed uno straordinario amore per la vita, fanno di questo uomo non solamente un campione, ma un simbolo di speranza, degno di adornarsi del tricolore e dei quattro mori.
In lui un solo grande cuore, un solo grande uomo e due infiniti mondi da scoprire.
È lui: “il gigante dal cuore d’oro”, “l’uomo della notte”, in qualunque modo si voglia definirlo. Salvatore Erittu rimane il primo pugile sardo nella storia della boxe ad essersi guadagnato, il 22 del 2009 a Rezzato, il titolo di campione nazionale di massimi-leggeri.
La sua storia è fatta di due diverse strade che si incrociano, e poi si separano definitivamente, e lo vedono protagonista in due mondi totalmente opposti: Salvatore conosce nei suoi primi anni di vita la realtà della povertà, la precarietà del vivere quotidiano, la paura che un domani non possa concretizzarsi o che, ancor peggio, possa rimanere similare al presente. Vive perciò una vita di sacrifici, comincia a lavorare all’età di soli tredici anni, lasciando da parte lo studio ed assuefacendosi ad una realtà che non è alle sue dimensioni.
Ma la forza di volontà, la voglia di non arrendersi, la saggezza di “potercela fare”, l’amore per la vita, la sicurezza di avere attorno a sé l’affetto della famiglia e degli amici, vedono quello stesso ragazzo “scapestrato” diventare un uomo, un padre, un’atleta, un sognatore.
Oggi Salvatore vive la vita creando la sua realtà gradino dopo gradino, modellandola con le sue forze, lasciando poco spazio al destino e molto di più alla volontà, senza mai dimenticare però che le radici sono sempre il punto di partenza.
Ecco come l’uomo dei due mondi si racconta per noi, rispondendo alle nostre domande:
ControMano: Salvatore Erittu dopo aver dichiarato di aver vissuto “una vita al contrario”, nonché da “birichino”, appare oggi come il classico bravo ragazzo, educato e cortese. Ma allora qual è il vero Salvatore e qual è invece la maschera?
Salvatore Erittu: “Non ho maschere. Ciò che sto vivendo è ciò che realmente sono. È vero, sono stato un ragazzo molto istintivo, facevo una vita veloce, frenetica, vivevo il mondo della notte lavorando nei locali, ma poi in concomitanza con la nascita di mia figlia Erica, con l’inizio di una convivenza e con l’avvicinamento al pugilato, ho iniziato anche una nuova avventura con me stesso, una nuova vita. Ero un ragazzo che diventava uomo, ed ora mi ritengo un uomo, so di essere umile, estroverso, socievole, ma sopratutto leale.”
CM: Ti ritieni più uomo, più padre o più pugile?
SE: “Principalmente un uomo ed un padre, un buon padre e poi un pugile, ma il pugilato viene dopo tutto il resto.”
CM: Hai dichiarato di essere diventato un pugile grazie all’apprezzabile consiglio di un amico che ti ha fatto conoscere la boxe, ma cosa ti spinge a continuare ad esserlo? Cosa ti da la forza di credere in te stesso?
SE: “Le mie radici: l’aver vissuto e conosciuto la povertà. Il fatto di volere e desiderare qualcosa e non potertelo permettere ti lascia un amaro ricordo che non voglio abbia né mia figlia né la mia famiglia. Voglio dargli il meglio e posso farlo solo continuando in ciò che so fare.”
CM: Il 22 maggio a Rezzato, vicino Brescia, hai acquisito ufficialmente l’appellativo di “campione”; si nasce o si diventa campioni?
SE:“Sicuramente ci si diventa, poi c’è tutto un discorso sul talento da fare. La mia filosofia è che si può essere grandi talenti in qualunque sport, ma se al proprio fianco non si hanno l’affetto della famiglia e del mondo degli amici, e se non si conduce una vita corretta e sana, non si può diventare campioni!”.
CM: In un intervista precedente al fatidico incontro hai dichiarato che la tua vittoria sarebbe stata un punto di partenza ed a Rezzato, sicuro di farcela e sostenuto da un numeroso tifo che incalzava con :”Noi vogliamo questa vittoria!”, hai guadagnato ben 10 round su 10; non è stato tutto troppo semplice? Avresti forse voluto un incontro più avvincente?
SE:“Assolutamente no! Per me l’incontro è stato avvincente. La semplicità o la difficoltà non stanno nell’incontro in sé ma in tutta la lunga preparazione e la lunga sofferenza precedente. Agli occhi di chi non capisce la boxe forse può sembrare tutto facile, ma non bisogna dimenticare che ci sono le tensioni emotive, perciò posso affermare che ho vinto sotto il profilo tecnico e tattico, ma ho vinto sopratutto sotto il profilo della motivazione. Ero motivato allora, lo sono ancora di più adesso!”.
CM: A chi hai dedicato la tua vittoria?
SE:“Non c’è stata una dedica singola sarei stato troppo egoista! Ho avuto al mio fianco tutta una serie di persone che mi hanno permesso di arrivare alla vittoria partendo dagli allenatori Maurizio Zennoni, Patrizio Oliva, Gavino Mura e Gianni Mura, passando per i miei tifosi che erano più numerosi delle mie aspettative, alla mia famiglia che ha atteso pazientemente che io facessi il mio percorso, per poi arrivare a tutti coloro che hanno creduto in me!”.
CM: Sei il primo pugile sardo nella storia della boxe a vincere questo titolo, al tuo rientro la città ti ha accolto da vero campione festeggiandoti in piazza con una grande festa, in tutto questo qual’è stata l’emozione più grande?
SE:“E’ stata più grande l’emozione di tornare nella mia città che quella di sentire l’ufficialità del verdetto della vittoria. A casa sono riuscito a metabolizzare ciò che mi era successo, ciò che ero diventato. Ma la cosa migliore è stata quella di aver regalato un sorriso a chi veramente ne aveva bisogno. Oggi Porto Torres vive una realtà terribile, il tasso di disoccupazione sta toccando dei picchi altissimi e purtroppo non sembrano arrivare miglioramenti e quando, per strada, ho incontrato un amico che mi ha detto “per un’ora mi hai fatto dimenticare tutto il resto della giornata in cui non ho fatto altro che pensare che sono disoccupato!” beh , per degli istanti, mi sono sentito un’eroe!”.
CM: Sei riuscito a dare concretezza ad uno dei tuoi sogni, ma a quali altri sogni hai dovuto rinunciare e a quale invece non rinunceresti mai?
SE:“Il mio vero sogno va oltre il livello sportivo, oltre il livello umano, perché la cosa che più desidero è di riuscire a non far mancare niente alla mia famiglia sia sotto il profilo economico che sotto quello affettivo. Poi sognare non è proibito ed io ho già realizzato molti dei miei desideri: mi sono avvicinato alla boxe a ventuno anni e adesso sono campione d’Italia, ho fatto una lunga gavetta nella nazionale, che indubbiamente mi ha arricchito di tecnica, ma anche di emozioni. Purtroppo non sono diventato un calciatore per quanto io amassi il calcio, ma so per certo che il sogno al quale non potrei mai rinunciare è mia figlia!”.
CM: Sul ring hai guadagnato molte vittorie, ma nella vita qual’è stata la tua vittoria più grande e quale la più grande sconfitta?
SE:“Nella vita la più grande vittoria è stata quella di essere riuscito a passare da un estremo all’altro: sono stato un tipo di persona con una filosofia di vita che oggi, da buon padre, non condivido più. Mentre la mia più grande sconfitta è non aver potuto studiare. Ci sono tante cose che mi affascinano e dentro di me sento che mi manca qualcosa!”
CM: Hai una figlia di pochi anni. Se un giorno ti dicesse di voler diventare un pugile?
SE:“Glielo sconsiglierei, preferirei facesse altri sport. Credo che il pugilato nelle donne tolga una buona parte di femminilità, sopratutto se si considera che possono rimanere delle cicatrici sul viso, che ci si può rovinare il naso. Se poi mi chiedesse di insegnarglielo per difesa personale non potrei certo dirle di no!”
CM: Mino Maccari, pittore, giornalista e scrittore del novecento, nelle Punture asseriva che “Lo sport è l’unica cosa intelligente che possono fare gli imbecilli!” Se avessi potuto conoscerlo cosa gli avresti risposto?
SE:“Per quanto potesse essere intelligente quest’uomo io non sono esattamente d’accordo. Lo sport è competizione e la vita stessa è competizione. In un certo senso ognuno di noi, intelligente o meno, pratica sport anche senza definirlo così. La monotonia è ciò che ammazza qualunque cosa perciò bisogna trovare l’alternativa per non arrendersi ad essa. Io amo vincere in tutto ciò che faccio, adoro le vittorie e non parlo solo del pugilato, anzi so perfettamente che proprio in questo ambito prima o poi capiterà di perdere, ma questo di certo non mi fa smettere di combattere e di competere anche con me stesso.
CM: Come giustifichi il tuo sport di fronte a chi sostiene che sia una mera manifestazione di violenza?
SE:“Il pugilato non è violenza, anzi, è l’esatto opposto. Io stesso prima di avvicinarmi alla boxe ero una persona molto violenta, mi capitava spesso di fare a botte per strada e non solo; adesso sono molto equilibrato, il rigore della boxe mi ha dato molta sicurezza, serve a liberare la mente. Funziona come antistress, oltre al fatto stesso che ti fa stare in forma, e proprio per questo credo che sia uno sport aperto a tutti. L’allenamento è basato sulla coordinazione fisica simile o pari a quella che ti da il nuoto, l’unica differenza è che nel nuoto non c’è un contatto fisico con un altro individuo”.
CM: In questo momento della tua vita a quale persona vorresti stringere la mano?
SE:“La persona più recente che mi viene in mente è un uomo di cui non so neanche il nome, ma ho visto in un video, pubblicato su facebook, di ciò che è stato in grado di fare solo per donare un sorriso al figlio diversamente abile. Ha sfidato la sua forza fisica, portato dalla volontà dei sentimenti, facendo una lunga gara composta di tanti esercizi portandosi sempre dietro suo figlio e sorreggendone il corpo senza mai lasciarlo. Non si è fermato fino a quando non ha raggiunto il traguardo e la cosa che più mi ha colpito è stato vedere che sul suo viso, all’arrivo, non c’erano i segni della stanchezza, ma solo la gioia, l’immensa gioia di aver fatto felice suo figlio.
E poi mi piacerebbe stringere la mano a tutte quelle persone che riescono a trovare una fede vera e propria. Io sono credente perché sono convinto che ci sia un Dio, ma tutto ciò che accade nel mondo, tutto quello che trasmette la tv ogni giorno, mi crea così tanta confusione da non farmi identificare nel nome di questo Dio”.
CM: A conti fatti, tornando indietro, cambieresti qualcosa della tuo vissuto?
SE:“Forse tornando indietro inizierei prima a fare pugilato, magari farei un’olimpiade, ma di una cosa sono certo: tornando indietro studierei. Per tutto il resto non cambierei niente!”
Testa sempre alta, ed uno straordinario amore per la vita, fanno di questo uomo non solamente un campione, ma un simbolo di speranza, degno di adornarsi del tricolore e dei quattro mori.
In lui un solo grande cuore, un solo grande uomo e due infiniti mondi da scoprire.